(Emilianità - 2)
Sorridevano. Aveva fatto loro sinceramente piacere, si capiva. Io li ascoltavo parlare, da dietro, altra fila di poltrone. Io non ho il vissuto (spesso volgare) che ho per altri dialetti, lombardi, triveneti, baiuvari, non li ho per il dialetto emiliano, in questo caso bolognese. Quei suoni solari, aperti, mi portavano via e mi lasciavo andare. Capivo forse la metà, forse anche perché capivo solo la metà. Mi portavano a spasso, per colline di orzi e frumenti dorati, di ginestre, di sapori intensi, di sole e vento, di cotechini e lambruschi di Grasparossa e botticelle di balsamico antico, di onde di verdi sui pascoli che diventano la forma (*), di piccoli borghi di pietre e rosai e pietre comacine, di papaveri rossi, aperto di spazi e vento e di musica vocale.
Ecco, il dialetto emiliano, per me, è proprio così. E' come la primavera, il maggese.
Cultura, radici, piacere.
E prima di scendere li ho interrotti e di dire loro che è bello e raro è sentire una conversazione in dialetto emiliano.
Dicevano che sta sparendo e sorridevano, un po' disillusi, un po' contenti.
(*)
La forma: in bolognese, il parmigiano-reggiano.
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RispondiEliminaLi avrei potuti ascoltare per mezz'ore.
RispondiEliminaLa donna era sui sessantasette, aveva le mani robuste e di molti lavori e molta arte. Sapeva sicuramente tirare la sfoglia.
Sono certo. :)
Che del dipinto :)
RispondiEliminaNoo, è una fotografia. Di Andrea Maestri.
RispondiElimina;)
Ahahah
intendevo le tue parole, dipingono un momento, un spaccato di un posto e della gente ::) :P
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