Dove arriva il turismo, l'economia tradizionale collassa e si passa all'economia dell'intrattenimento, se non della finzione: alberghi posticci, servizi di intrattenimento, aperitivi in quota, ristoranti e trattorie che fingono una cucina locale a km x*100 o che servono caciucco, involtini primavera, pseudo sushi, piatti che nulla hanno a che fare con i luoghi, ci sono parcheggi e nuove statali al posto di prati, campi e strade campestri per i mezzi agricoli, spa e negozi di mountain bike elettromotorizzate al posto di fienili e caseifici, maestri di tennis, o di nordiuoching e specialiste di massaggi shatsu al posto di falegnami e casari, veterinari e apicoltrici, concitazione, rumore del traffico al posto di silenzio di muggiti e grilli, prati e spazi.
Il turismo di (relativa) massa è un
Anche per questo amo il remoto, splendido, ruvido e vivo, autentico, paesino di montagna di mamma e famiglia materna. Anche con le scomodità che può comportare.
Questo non è affatto un giochino: come osserva MarcoPie significa la distruzione dei saperi, delle conoscenze rurali, contadine, del settore primario, del linguaggio, spesso dialettale, inerente la vita, l'economia, l'agricoltura, la flora di quei luoghi.
Qualche foto da un splendido borghetto d'Appenino (a tratti lezioso a tratti sgarrupato) visitato di recente con Rosa Canina. Orti splendidi curati da qualche anziano a cornice di casine in pietra, anziani retroguardie rurali, abbandono, ancora una fattoria viva, un mondo contadino che se ne sta andando. Qui non c'è finzione.
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