domenica 13 aprile 2025

Il grigio col grigio

In Il papa col Poncho, trovate alcune riflessioni di Roberto Pecchioli, a livello semiotico, sulle recenti uscite di Jorge Mario Bergoglio. Mi meraviglio della sua meraviglia, considerato quanto succede dalle ghigliottine del XVIII secolo che hanno tagliato la testa al verticale, lasciando un orizzontale senza pensiero. Non molto diverso da alcune considerazioni di Nessuno (peraltro con l'illusione ugualistica di una società di pari educati, filosofi, coscienti, incompatibile con la caratterizzazione gaussiana delle distribuzione rispetto ad un criterio "educato, filosofo, co-sciente"), sulle contraddizioni della democrazia, del suffragio universale, dai tempi dei pentastellati, il loro "uno vale uno" (*) e ciò che Oltreoceano avviene ora con i "MAGA".

Ecco il mio commento.

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La sciatteria (e alcune chicche sue pari, come il pressapochismo, la cialtroneria) sono di moda da molti lustri.
Il sinistro livellamento ugualistico, il primo dogma dei progressisti, visto che non può rendere eccellenti gli scarsoni, i mediocri, appiattisce tutto al’indistinto mediamente medio, grigiastro (del resto se qualcheduno prendesse un litro di vernice per ciascuno dei colori di quell’orribile, emetico vessillo arcobalengo e li mescolasse in un secchio, otterrebbe non il bianco ma un brutto grigiastro).

Dunque per essere uguale a voi, mi ugualizzo al comun minimo denominatore, divento uno dei tanti.

Se uno guardasse dall’esterno, noterebbe un motivo, un ritornello comune, nella Ecclesia, quello degli umili, del gregge, in cu, anno 2025, pure il pastore, da buon animalista sinistrato, si “appecorona”. Più o meno in linea con l’orizzontale che domina dall’illuminismo, poi dal comunismo, quindi dalla loro versione ulteriormente peggiorate, il wokeismo arcobalengo, in cui uno si alza, la mattina, e per oggi si identifica in un tamagochi, ieri in un maranza nuovo maestro di vita,, uno dei tanti, dopodomani in pugilessa trans e cappuccino con ketchup, etc. . La patologia elevata a valore e modello.
Cosa dovrebbe fare un papa “sono uno di voi”?
Visto che il superuomo nietzsciano è imploso a Berlino nel maggio 1945, siamo, da quell’epoca, nel mito dell’apposito, il subuomo. Detto, apologizzato, fatto!

27 commenti:

  1. Peraltro dimostratosi incompatibile con anche una sia pur minima struttura di quel movimento. I sinistrati si sdilinquiscono per il miraggio ugualistico dell'abolizione del verticale, ma come esseri umani tridimensionali, non possono vivere in due dimensioni, su un piano XY, il loro ideale assurdo.
    La cortocircuitazione col concetto del meta-garante, Grillo, è evidente, la stessa robaccia degli uguali più uguali degli altri, i vari soviet e comitati centrali dei partiti comunisti/progressisti/ inclusivi, etc. .

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  2. Il superuomo non è mai esistito, la sorella di Nietzsche ha fatto un po'di casino.
    Il papa non è animalista, ma è il papa quindi si rispettano lo Spirito e la Storia.
    Ti devo spiegare sempre tutto! Eppure ci conosciamo almeno 13 anni!

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    1. Non esiste l'uguaglianza e pure è sulla bocca di ogni progressista da mane a sera.

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  3. Capisco il senso di frustrazione espresso: la percezione di un mondo che, in nome dell’uguaglianza, tende ad appiattire le differenze e a confondere il rispetto con l’omologazione è un tema serio e sentito da molti. Tuttavia, forse vale la pena distinguere tra il desiderio di inclusione e un presunto culto della mediocrità.
    Uguaglianza, infatti, non significa necessariamente annullare l’eccellenza o rinunciare ai valori alti, ma piuttosto riconoscere che ogni persona – indipendentemente dal punto di partenza – ha diritto alla dignità, all’ascolto, e alla possibilità di crescere. L’uguaglianza è una cornice, non un traguardo imposto.
    Quanto alla critica alla Chiesa “orizzontale”, è vero che Papa Francesco ha scelto uno stile pastorale più diretto, meno “imperiale”. Ma questo non implica automaticamente il venir meno della dimensione spirituale o della verticalità del sacro. Potremmo leggerlo come un tentativo di recuperare il cuore evangelico dell’umiltà, che non è banalità, ma compassione. E l’umiltà non cancella l’autorevolezza: la rende più umana, forse più credibile.
    Sulla questione dell’identità e del cosiddetto “wokeismo”, anche lì c'è bisogno di equilibrio. È legittimo interrogarsi su certe derive culturali, ma è altrettanto importante non cadere nella caricatura: dietro ogni persona che chiede di essere riconosciuta c'è una storia, non sempre un’ideologia.
    Infine, evocare il "subuomo" come mito contemporaneo forse è suggestivo, ma rischia di diventare una semplificazione crudele. Non tutto ciò che è fragile o marginale è patologico; spesso è proprio nella debolezza che si gioca la nostra capacità di restare umani.
    G

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    1. Se c'è una parola di moda che mi dà l'orticaria è inclusione, uno dei feticci del wokeismo.
      Cosa succede a includere una mela marcia in una cassetta di mele sane? Si sana la mela marcia o marciscono quelle sane?
      Rosa Canina lavora nella scuola e, quasi quotidianamente, mi racconta le assurdità di questa inclusione imperativa. Abbiamo i bagnini diplomati in quanto certificati, allwrgici all'acqua, i laureati in filosofia che non sanno il congiuntivo, i geometri che non riescono a fare la o col bicchiere.
      Oltre ad avere stupratori seriali, delinquenti a ripetizione, pazzi assassini, inclusione. La riformulazione di "Nessuno tocchi Caino" che vuol dire "lasciatevCaino fare ciò che gli piace fare".
      Inclusione? No grazie!

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    2. A furia di piccoli passi in equilibrio, siamo arrivati ad aver già un piede in equilibrio sul vuoto, sopra il baratro.
      Per evitare che la rana finisca lessa nell'acqua che ogni 20" aumenta di un grado -- perfettamente in equilibrio! - è necessaria la radicalità di uscirne quanto prima, di eliminare il problema alla radice.

      Fragile e marginale.
      Boh.
      Anche no.
      Voi chiamate un fragile, debole, per i lavori di muratura del vostro solaio? Io no.
      Può essere che quel fragile, debole sia un bravo tecnico di riparazioni di sistemi elettronici, non è che deve essere ugualizzato ad un muratore, eh!? Discriminare significa osservare e far osservare le proprie caratteristiche, pregi e difetti, e scegliere di conseguenza.
      Se uno è allergico al glutine, solo dei cretini potrebbero volerlo includere come mugnaio.

      Signor G., non ci siamo proprio.

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    3. Non intendevo certo difendere un’ideologia cieca, né negare che l’inclusione, quando applicata senza intelligenza, possa produrre effetti distorti o perfino controproducenti. Il punto che volevo sollevare è un altro: la necessità di distinguere. Di non fare di ogni richiesta di riconoscimento una deriva ideologica, né di ogni fragilità un sintomo di decadenza.
      Una mela marcia non va nascosta nella cassetta, ma nemmeno buttata a prescindere: magari ha solo un punto da tagliare. Le persone tutte, non sono riducibili a categorie astratte. Né “fragile” significa “inutile”, né “includere” significa “livellare”.
      La vera discriminazione, nel senso etimologico del termine, richiede intelligenza, non rabbia. È vero: non affiderò mai un lavoro fisico a chi non è in grado di sostenerlo. Ma riconosco il valore di quella stessa persona in un contesto diverso. La società non si regge su un solo tipo di forza.
      Quanto al baratro, temo che proprio l’incapacità di parlarci, di provare a capirci, ci stia portando a camminare su una lama sempre più stretta. La radicalità, quando non è accompagnata dal discernimento, diventa estremismo. E l’estremismo, di qualunque colore, non ha mai fatto bene alla civiltà.
      G

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    4. Signor G.
      Non ho avuto il tempo di rispondervi in tempo.
      Nei giorni del Vs. commento ci fu un tale con gravi precedenti che stupro una ragazzin undicenne.
      L'estremismo baubau cacciato dalla porta (l'aberrante "Nessuno tocchi Caino") rientrato dalla finestra.
      La battuta, cruda e precisa, è proprio che non si è voluto tagliare l'impegno marcio della mela e la si è rimessa intonsa tra quelle sane.
      La credenza xhexsinpossacannullare, far svanire, evaporare lo estremismo.
      No grazie!

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    5. Caro "UnUomo.InCammino",
      Ti ringrazio per aver condiviso il tuo pensiero con tanto impegno e passione. Mi rendo conto che il tema dell’inclusione è estremamente delicato e suscita molte riflessioni, non sempre facili da esprimere senza cadere in semplificazioni. Provo a rispondere partendo da alcune considerazioni. È vero, il concetto di "inclusione" può apparire a volte come un feticcio che rischia di ridurre le differenze senza tener conto delle peculiarità individuali. Eppure, credo che il problema non sia tanto l'idea di includere, quanto il modo in cui questa viene applicata. L'inclusione, se gestita con discernimento, non deve significare omologazione, né annullamento delle differenze; non è un processo di "livellamento" che cancella le specificità, ma un tentativo di riconoscere il valore intrinseco di ogni persona, a prescindere dal suo punto di partenza. La vera discriminazione, come tu giustamente accenni, dovrebbe essere un atto di intelligenza, che va oltre la rabbia e cerca soluzioni equilibrate. Capisco perfettamente il timore che l'inclusione diventi un pretesto per ignorare la gravità di determinati comportamenti, come quello di un criminale che, purtroppo, non può essere "incluso" nel senso che spesso si intende. Nessuno sostiene che un reato grave debba essere tollerato per il solo fatto di appartenere a una certa categoria sociale o di avere un passato problematico. Tuttavia, credo che sia necessario separare l'idea di inclusione sociale da quella di tolleranza per comportamenti violenti o dannosi. L'inclusione riguarda le opportunità di crescita e miglioramento, mentre il rispetto per la legge e la sicurezza della comunità non possono mai essere messi in discussione. Sulla questione della "mela marcia", mi piace pensare che la società debba saper fare distinzioni. Una mela marcia va sicuramente rimossa dalla cassetta, ma questo non implica che tutte le persone che commettono errori debbano essere giudicate e scartate a prescindere. Forse la vera sfida consiste nel saper discernere quando e come offrire a una persona una possibilità di redenzione, senza però mettere a rischio la collettività. Penso che sia proprio lì che si gioca la nostra capacità di restare umani: nel riuscire a riconoscere quando è il momento di separare ciò che è marcio da ciò che può ancora germogliare. In merito alla tua critica all'estremismo, sono completamente d'accordo. La radicalità senza discernimento rischia di diventare cieca e distruttiva. Un mondo che si chiude su sé stesso, incapace di dialogare e di confrontarsi, è un mondo che perde la sua capacità di evolversi. La vera forza di una società non risiede nel far finta che tutto vada bene, né nel cercare di annullare le differenze, ma nel saper convivere con esse, mantenendo ferme le proprie convinzioni, ma sempre aperti al confronto. Quello che mi preme sottolineare è che l'inclusione non deve essere intesa come una sorta di "imposizione" uniforme che appiattisce ogni diversità, ma piuttosto come la possibilità di costruire ponti tra le persone, senza per questo rinunciare ai valori di giustizia e responsabilità. Si tratta di un equilibrio sottile, che va perseguito con saggezza, senza mai cadere nel rischio di estremizzare la questione.
      Mi auguro che queste riflessioni possano contribuire a un dialogo costruttivo, in cui, pur mantenendo le proprie posizioni, si possa trovare un terreno comune su cui lavorare per una società più giusta e comprensiva.
      Con rispetto,
      Signor G.

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    6. > cerca soluzioni equilibrate.

      Le soluzioni devono essere soluzioni.
      Una "soluzione" equilibrata, o inclusiva, o rispettosa dei "diritti", o antifascista, (o uno tra i mille tra gli aggettivi in voga) che non risolve il problema non è una soluzione.
      E' proprio l'estremizzare le credenze (un criminologia è stranoto che gli stupratori iterano il proprio crimine) che riporta l'estremo nocente e lo applica agli abele di turno.
      Di fronte a questi estremismi balordi, basati su superstizioni e ideologie farlocche, è bene tornare alla dura e solida concretezza di società sane. Uno dei principi è la progressione della pena. Nella fattispecie, l'ipetestosteronico aveva già numerosi precedenti.
      Uno, due e poi tre, alla fine la pena deve proteggere le mele sane dalle mele marce.
      La società sana non deve essere comprensiva di questi, deve essere esclusiva, basarsi sulla certezza della pena e sul fatto che criminali impenitenti non possano più nuocere. Come diceva mia mamma, "Non si può raddrizzare le gambe ai cani!"
      Siamo molto lontani, signor G. .

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    7. Caro UnUomo.InCammino,
      apprezzo il tuo punto di vista, anche se mi trovo a non condividerlo pienamente. Comprendo la necessità di proteggere la società da chi commette crimini gravi e la certezza della pena è sicuramente fondamentale per garantire la sicurezza collettiva. Tuttavia, credo che dobbiamo fare attenzione a non confondere il concetto di giustizia con quello di esclusione. Quello che spesso viene ignorato è che molte persone che commettono crimini lo fanno in un contesto che il sistema non è riuscito a correggere, o a prevenire. La povertà, la mancanza di opportunità educative o familiari, il disagio sociale sono fattori che, se non affrontati, portano alla perpetuazione del crimine. Se non mettiamo in discussione il sistema che genera queste disuguaglianze, rischiamo di continuare a "scartare" chi, forse, potrebbe essere aiutato a cambiare. Non si tratta di giustificare i crimini, ma di riconoscere che un approccio puramente punitivo non risolve le cause sottostanti.
      La vera sfida, a mio avviso, non è solo quella di punire, ma di prevenire e riabilitare. Ogni persona ha un valore intrinseco e, seppur riconoscendo la gravità delle sue azioni, dobbiamo cercare di non perdere di vista la possibilità di cambiamento, soprattutto quando parliamo di persone che possono ancora recuperare un percorso di vita positivo. Questo non significa abbassare la guardia, né ignorare la necessità di proteggere la collettività. Significa, piuttosto, mettere in atto politiche che non si limitino alla punizione, ma che si concentrino anche sulla rieducazione e sul miglioramento delle condizioni sociali di chi ha sbagliato.
      In conclusione, credo che l'inclusione e la giustizia non debbano essere viste come concetti contrapposti, ma come elementi che devono lavorare insieme, con discernimento, per costruire una società più equa e giusta per tutti, senza dimenticare le specificità di ogni individuo, ma mirando anche a dar loro una possibilità di cambiamento. Non possiamo risolvere i problemi solo con l’esclusione, ma dobbiamo cercare di migliorare un sistema che, troppo spesso, fa sì che le "mele marce" siano inevitabili.
      Con rispetto,
      Signor G

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    8. Il.Vs. commento mi ricorda gli anni della lista civica e la incomunicabilità e distanza con i compagni cattocomunisti, cattoverdi, cattoarcobalenghi.
      La casistica quasi pletorica da tanto quanto era ricca circostanziata, gli innumetevoli esempi e i tentativi di ricondurre alla realtà annullati, annientati dalle iperboliche posizioni inclusive, accoglintistiche, perdonistiche, buonistiche, e dellepiùvarieistiche..
      Citavo i casi di devastazione diabetica, mi rispondevano con la dolcezza ineguagliabile e la bontà sopraffina di torte e zuccherini della nonna.
      Io capii che non c'era nulla da fare e che le persone si aggrappano alle loro credenze sulle quali stanno affondando, ovvero le osservazioni disincantate di Esther Perel che diceva che più un bastimento di quella o quella credenza affonda, più le persone fanno a gara per imbarcarsi su di esso.
      Mio padre, medico, mi citava un "Il medico pietoso fa la piaga puzzolente". Passa il tempo e siamo ancora e sempre inchiodati lì.

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  4. Mah onestamente da quel che leggo
    dai tuoi commenti UUiC credo che il termine "inclusione" sia solo un buon pretesto per celare,ma nemmeno tanto,una forma di pregiudizio verso "persone".Non è la parola inclusione a dare l'orticaria ma quello che ci vediamo dentro,parlare di mele marce poi è una buona ammissione .Menomale che esiste ancora qualcuno che non ha la fretta di buttare l'intera mela solo perché c'è un tratto di macchia scura.
    Mio nonno diceva di vegliare sempre perché potevano arrivare tempi duri e ciò che in quell' oggi non si apprezzava, il giorno dopo ne avremmo avuto rimpianto.Metafora e lezione di vita.

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    1. Il pregiudizio esiste. Su queste pagine riporto, da anni, pregiudizi idioti (di coloro che non riescono a stare nella realtà da vita pubblica) di gran moda nella società degli ebeti politicamente corretti. Una serie di cretinate ripetute pappagallescamente, anacronisticamente, fuori luogo perché così vuole il Pensiero Unico.
      Ad esempio "accoglienze senza se e senza ma" è pregiudizio come "Mamma lì turchi!", solo che il primo è scemo, il secondo è statistica e storia.
      Ciascuno ha i pregiudizi che si merita.

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  5. si stava meglio quando c'era la ddr

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    1. A commento riusato riuso di risposta.
      Si, stava meglio, specie quelli a ponente della DDR.

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  6. non si può parlare di inclusione specialmente se quelli che scelgono il nostro paese lo scelgono solo perché qui da nojos regna sovrana la legge der Menga ed i nullatenenti agli occhi del fisco possono fare il cazzo che gli pare, altro che rubare la casa al pinzionato ricoverato in ospedale

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    1. Caro fracatz,
      ti ringrazio per aver sollevato il tuo punto di vista, anche se, come sempre, la discussione non è mai semplice. Concordo con te sul fatto che, quando si parla di inclusione, non dobbiamo permettere che diventi un pretesto per ignorare o giustificare comportamenti dannosi. Tuttavia, credo che il vero problema non sia l’idea di inclusione in sé, ma piuttosto come viene applicata e, soprattutto, la mancanza di soluzioni concrete.
      Prendiamo ad esempio la politica: Salvini, per lungo tempo, ha cavalcato l’onda della paura verso gli immigrati, utilizzando il tema della "sicurezza" come leva per raccogliere consensi. Ma quando non è riuscito a trovare soluzioni efficaci e durature, la sua posizione è stata inevitabilmente indebolita. I suoi voti sono crollati dal 34% al 10%, dimostrando che la lotta contro gli "ultimi", senza proporre alternative praticabili, non ha mai portato a un reale cambiamento, né ha giovato a chi davvero ne aveva bisogno. La realtà è che un approccio puramente punitivo o esclusivo non basta. Certo, la sicurezza è fondamentale, e non possiamo permetterci di fare finta che certi comportamenti non debbano essere sanzionati. Ma non possiamo nemmeno ignorare che le disuguaglianze sociali e i problemi strutturali contribuiscono in modo determinante a creare il terreno fertile per i crimini. Non è un caso che il miglioramento delle condizioni sociali sia sempre stato una chiave fondamentale per ridurre la criminalità. Riflettiamo: escludere e condannare senza cercare soluzioni a lungo termine rischia di rimanere solo una risposta momentanea, che non risolve mai le cause reali dei problemi. Il vero punto, a mio avviso, è trovare un equilibrio, una "medicina" giusta che vada oltre il semplice "punire", e che lavori anche su prevenzione, inclusione e riabilitazione. Nessuno dice che dobbiamo giustificare i comportamenti sbagliati o tollerare chi non è disposto a cambiare. Ma chi vuole davvero costruire una società più giusta deve riuscire a fare i conti con le diversità e con le difficoltà di ognuno, senza cadere nell'estremismo che, come abbiamo visto, non porta mai a risultati duraturi. La storia ci insegna che la lotta agli "ultimi" non paga mai nel lungo periodo.
      Con rispetto,
      Signor G

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    2. > ha cavalcato l’onda della paura verso gli immigrati, utilizzando il tema della "sicurezza"

      L'altro ieri ho letto la distopia precipitata addosso ad una controllatrice che, da quando osò chiedere il biglietto ad una canaglia cingalese si è rovinata la vita, con il criminale addirittura entrato in possesso del numero di telefono della poveraccia, che ha molestato in ogni.maniera possibile, monacciato in ogni modo possibile, fino a che un giudice gli impose il braccialetto elettronico poi revocato da altro giudice (il solito giudice compagnesco).

      Poi leggo che è colpa di Salvini e delle paure.
      Povera stronza, ha osato, la razzista, cedere alle pressioni di Salvini e pure avere paura.
      Alla fine, sotto, sotto, se lo sarà pure meritata, fascio xenofoba di merda.

      Respiro profondo.

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    3. La legge de menga: ecco un'altra applicazione.

      "Poche ore prima dell'omicidio di Angelito Acob Manansala, trovato cadavere nella casa in cui faceva il domestico, Dawda Bandeh era stato sorpreso su un balcone vicino alla Stazione Centrale: bloccato dai carabinieri, il 28enne gambiano (poi trovato nella casa del delitto) se l’era cavata con una denuncia"

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    4. mi sembra che tu stia ancora cercando di ridurre una questione complessa a episodi di cronaca isolati, come se questi potessero spiegare la totalità del problema. Certo, ogni fatto di cronaca ha il suo peso, ma concentrarsi solo su questi casi rischia di non fare nulla per risolvere le cause strutturali che alimentano la criminalità e le disuguaglianze. Salvini ha certamente alimentato paure e divisioni, ma non possiamo dimenticare che il vero nodo da sciogliere è la mancanza di soluzioni concrete a lungo termine. La paura non basta a risolvere i problemi sociali, che richiedono politiche inclusive, di prevenzione, di integrazione e di giustizia sociale. Escludere o colpevolizzare chi ha paura non fa che peggiorare la situazione. E sì, anche un sistema giudiziario che non sa affrontare efficacemente questi temi contribuisce alla perpetuazione di un circolo vizioso, ma non è certo continuando a fissarsi sugli episodi più eclatanti che si cambiano le cose. Mi sembra che, purtroppo, si stia evitando di affrontare la realtà: non basta "punire" o "giustificare", bisogna trovare un equilibrio, una via di mezzo che lavori sulla prevenzione, sul miglioramento delle condizioni sociali e sulla giustizia per tutti. Ma senza un cambio di mentalità, nessuna delle soluzioni che proponi potrà mai essere efficace.
      G

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    5. Francamente non riesci a capire come, nel 2025 e la conoscenza della realtà si possa scrivere in tale ammasso di cazzate ideologiche.
      Sentite, G., io non so a che gioco state giocando. Mi parete uno che sta brandendo il libretto arcobalengo e continua a gridare, forsennatamente, i problemi e le cause del problemi come soluzioni.
      È come ae voi viveste in una bolla fuori dai luoghi e dal tempo, come se storia, statistica, criminologia e sociologia non esistessero, come se le banlieue, se la nocenza quotidiana, se Bataclan e Atocha, se le fuerra civile a bassa-media intensità, non esistessero, la statistica degradata a casi, la storia e i fondamenti delle società fossero, di colpo, diventati il problema.
      Le paure alimentate da Salvini.
      Quando leggo queste stronzate e penso ai treni da incubo che devo subire, alle rapine con pestaggi e violenze pesanti nelle stazioni che devo attraversare capisco che ho a che fare con una persona non solo fuori dalla realtà ma che predica contro di essa.

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  7. Se davvero vogliamo affrontare il problema della criminalità e delle disuguaglianze, dobbiamo smettere di cercare soluzioni facili o superficiali, come fare affidamento sulla paura o su politiche esclusivamente punitive. È evidente che, per avere un reale cambiamento, è necessario un approccio che vada oltre l'emergenza e si concentri sulla radice dei problemi.
    Ecco alcune soluzioni concrete che potrebbero fare la differenza:
    1. Investire nell'educazione e nella formazione professionale: I giovani che crescono in contesti di povertà o marginalità sociale spesso non hanno le stesse opportunità di sviluppo e inserimento nel mercato del lavoro. Proporre programmi educativi mirati, corsi di formazione professionale e supporto psicologico potrebbe aiutare a ridurre la frustrazione che spesso sfocia in comportamenti devianti. Esempio: Programmi di formazione per giovani a rischio, come quelli che combinano educazione scolastica e formazione in ambito tecnico o artigianale, potrebbero ridurre significativamente i tassi di criminalità in determinate aree.
    2. Politiche di inclusione e integrazione sociale: L'inclusione non deve essere solo un concetto teorico, ma una pratica concreta. Lavorare per integrare le minoranze etniche e i migranti nella società, garantendo loro pari opportunità in ambito lavorativo, educativo e sociale, è fondamentale per prevenire il disadattamento e le frustrazioni. Esempio: Creare spazi di incontro e collaborazione tra comunità locali e migranti, facilitare l'accesso al mercato del lavoro per chi arriva da paesi esteri, e promuovere politiche di supporto all'integrazione culturale.
    3. Riforma del sistema giudiziario e penale: Semplificare e rendere più efficace il sistema di giustizia, per evitare che i colpevoli di reati gravi possano uscire troppo facilmente, ma anche per promuovere programmi di riabilitazione per chi ha commesso reati meno gravi. La punizione deve essere seguita da processi di recupero e reintegrazione. Esempio: Sistemi di giustizia riparativa, dove il reo può lavorare per rimediare al danno subito dalla vittima attraverso attività di comunità o assistenza, piuttosto che affidarsi unicamente alla detenzione.
    4. Prevenzione e supporto alle famiglie: Molti dei comportamenti devianti hanno radici nelle difficoltà familiari e nei traumi psicologici. Offrire sostegno alle famiglie in difficoltà, con servizi sociali adeguati e programmi di supporto psicologico, potrebbe prevenire molte situazioni problematiche. Esempio: Programmi di consulenza psicologica familiare, supporto per genitori in difficoltà economiche, e gruppi di sostegno per bambini in contesti a rischio.
    5. Politiche di sicurezza che vadano oltre la repressione: La sicurezza non si ottiene solo con la presenza delle forze dell'ordine, ma anche con una gestione intelligente del territorio e il miglioramento delle condizioni di vita nei quartieri più problematici. È necessario aumentare la presenza di servizi pubblici, migliorare le infrastrutture, e creare opportunità di aggregazione sana. Esempio: Progetti di riqualificazione urbana, con la creazione di parchi, centri culturali, e attività ricreative, per ridurre il rischio che i giovani si avvicinino a comportamenti criminali.
    In sintesi, dobbiamo abbandonare l'idea che la soluzione consista solo nel punire o isolare. La vera risposta sta nel creare una società che offra a tutti, senza distinzione, le stesse opportunità di crescita, inclusione e riabilitazione. Solo così possiamo sperare di ridurre le disuguaglianze e prevenire comportamenti che minano la sicurezza collettiva.
    G

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    1. Le disuguaglianze non sono un problema, sono la realtà. Nella realtà Le uguglianze non esistono.
      G., capite che se la vostre teorie partono da basi bacate, assiomi strampalati, da falso segue falso!? Potete fare strame della logica aristotelica ma ciò è un problema.
      Le disuguaglianze...
      Fantastico, un altro dei dogmi ripetuti, acriticamente, dai fanatici collo sguardo perso nel vuoto.
      Prendete uno degli oggetti, anche quelli più semplici e apparentemente uguali.
      Chessò, alcune rondelle prodotte, stesso acciaio, stessa macchina, stesso lotto. Se aumentate la precisione delle misure anche di poco, pure quelle rondelle subisco la violenza delle disuguaglianze.
      Ehggià, tutto sbagliato!

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  8. Finalmente qualcuno che ci riporta coi piedi per terra! Le disuguaglianze non sono un problema, ci dice, ma “la realtà”. E che importa se milioni di persone subiscono esclusione, povertà o discriminazione? Basta chiamarla “realtà” e tutto si risolve. Geniale. Poi l’esempio delle rondelle… Magistrale. Paragonare esseri umani a pezzi di metallo prodotti in serie: un colpo di genio che meriterebbe un posto d’onore in qualche manuale di sociologia alternativa. Ma certo, se anche le rondelle sono diverse, allora perché mai preoccuparsi delle condizioni sociali di partenza? Che ognuno si arrangi, come le rondelle.
    E naturalmente, chi propone un’idea di società più giusta non è un cittadino consapevole, ma un “fanatico con lo sguardo perso nel vuoto”. Perché si sa, chi crede nella dignità umana, nell’uguaglianza delle opportunità e nella possibilità di migliorare le cose… dev’essere per forza un invasato.
    Insomma, grazie per avermi illuminato. Era ora che qualcuno difendesse con tanta passione lo status quo, l’immobilismo e le gerarchie sociali come se fossero leggi della natura. Aristotele ringrazia, anche lui.
    G

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  9. Alla fine, ci salutiamo dalle nostre rispettive orbite, distanti anni luce. E per fortuna, aggiungerei, l’universo è infinito: ognuno può continuare a girare nella propria galassia di convinzioni, senza pericolo di collisioni.
    G

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  10. Ho letto qua e là qualcuno dei vari commenti del signor G e delle risposte di UUiC e ne approfitto per dire, brevemente, la mia.

    Secondo me l’incomprensione “galattica” di fondo è che si discute insieme di due problemi diversi. Semplifico: il primo è l’immigrazione, il secondo l’integrazione.

    Sono abbastanza d’accordo col signor G che quello su quello che si dovrebbe fare per gestire l’integrazione ma vi è un problema di realismo/fattibilità dato dalla massa, cioè dalla pletora, dell’immigrazione. Faccio un esempio cretino per farmi capire (spero): supponiamo di avere una perdita d’acqua in cucina: da una parte cerchiamo di rimuovere l’acqua usando un bicchiere (le risorse per l’integrazione), dall’altra vi è un tubo rotto che allaga il pavimento (l’immigrazione).
    Questa sproporzione fra mezzi disponibili e “acqua” da rimuovere rende praticamente impossibile rendere la cucina vivibile…
    Scusatemi per l’esempio un po’ banale: spero abbiate capito cosa volevo dire.

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Rumore, robaccia fuori posto, pettegolame, petulanze, fesserie continuate e ciarpame vario trollico saranno cancellati a seconda di come gira all'orsone.