lunedì 6 maggio 2019

Comitatus Molisii - 5

Ci sediamo in un caffè, a Campobasso: caffè Illy, cioccolatini piemontesi. Il giorno prima, in trattoria, a Pescolanciano, ci offrirono anche del prosciutto di Parma. Eh!? Ma il prosciutto affumicato del Sannio?
In Molise, una pazzesca presenza di auto tedesche. A Isernia, in zona stazione, abbiamo visto dei brutti condomini, non so se popolari, sciatti, male tenuti o tutto questo: nelle vie furiosamente costipate di parcheggi delle Audi che costavano più degli appartamenti nei quali vivono i proprietari.
A Campobasso, il capoluogo di regione, il solito Lidl, vendere cibo tedesco in Molise è come vendere delle patacche di plastica e alpacca a Bulgari.
La colonizzazione economica, l'autocolonizzazione, del Molise, è sconcertante.
Un esemplare, paradigmatico esempio di ciclo di Frenkel, interno, nazionale ed europeo.
Una quantità sconcertante di insegne di botteghe, uffici, etc. interamente o in parte rilevante in inglese. L'autocolonizzazione inizia culturalmente.

Santa Maria Addolorata, chiesa in neogotico francese, progettazione e direzione lavori di un ingegnere bolognese.

2 commenti:

  1. Ecco, io non so se si odino.
    A volte penso che la curiosita' di novita' sia talmente grando che uno passa a mangiare la segatura o merdonald invece che le delizie di casa solo perche' "nuove", "esotiche", di moda, etc. .
    A Larino, a cena, in agriturismo, due amici della coppia dei fattori ci dicono :- Noi lavoriamo in uno degli stabulimenti che lavorano per la Fiat... mio padre ha preso un Audi... ha un tot di problemi e i ricambi costano esageratamente... gli avevo detto di prendere una Giulia... mi ha dato ragione.
    E' anche una moda.
    E le mode sono vezzi per sciocchi, per creduloni, a volte per cretini.
    Qyui trasudiamo di Bellezza che non la apprezziamo piu'.
    E' odiarsi? Non lo so.
    Dovrebbe essere un passaggio per misurare i valori e invece rimane tutto a livello di moda, di esterofilia.

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  2. UUIC: "[...] patacche di plastica e alpacca a Bulgari [...]".

    Premessa: riporto quanto sotto come affermazione del tutto generica e di principio, senza alcuna validità di testimonianza avversa a chicchessia.

    Fermo restando che a me di chi vende oro e brillanti (anche quando autentici, comunque patacche che sono almeno altrettanto costose quanto inutili) interessa poco o nulla, osservo che nel campo della produzione di gioielli "d'alto artigianato orafo" della mia cittadina natale è cospicua, se non preponderante, la pratica dell'importare in modo più o meno onesto "componenti" da nazioni estere (so per informazione certa di "artigiani" che hanno proprietà diretta o tramite prestanome di consistenti laboratori in Cina, ad esempio), assemblarle in quantità assai poco credibili in detta cittadina, in laboratori con personale in quantità ridicola e non più propriamente adibito a mansioni di "alto artigianato", punzonarle come produzione locale e proporla al pubblico come "made in Italy". Anzi, ancor più, come "made in-quella-cittadina-lì", visto il prestigio acquisito in passato.

    Potrei arrivare a immaginare che la pratica descritta non valga solo per l'oreficeria e che sia diffusa ormai ovunque -- alla faccia dell'etichettatura DOP, DOC, DOCG, DOG, CAT, COW o qualsiasi altra sigla altisonante possa venire in mente. L'acquirente, nei fatti, non ha modo di sapere cosa sta comprando.

    P.S.: Vale anche per la "vendita diretta" presso le aziende agricole, come raccontai per conoscenza diretta, riportando il caso di quel mio zio deceduto da alcuni anni che vendeva come "produzione propria" appena colta dal campo a fianco gli orticoli acquistati ai mercati all'ingrosso del vicino capoluogo.

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