Mi aspettavo "canti alpini" come da locandina che informava la frazione del Concerto di Natale, oreventiequarantacinque di domenica 27 dicembre.
Semplicità salmodiante prossima alla perfezione. Il direttore, presentando un canto racconta di un episodio in una canonica, l'organo in chiesa è guasto, come faremo per la messa "granda"? Con [lo strumento
pancratore,] la voce!
Nella piccola chiesina tardogotica oltre il campo, boschi oltre, vette (arido-bruciacchiate - no, non c'è il "bianche vette" per natalizzazioni disneyane di massa, non qui) a corona vieni rapito da questa perfezione con sembianze di semplicità.
Coro per voci maschili. Semplice, no?! Nelle Alpi italiane c'è una lunga tradizione di arte povera, far musica con quel che c'è ovvero... solo la voce, le voci e la potenza con algebra moltiplicatrice del choros.
Osservavo i volti semplici, le fattezze ancora medievali dei volti, di Marie col Bambino, di San Vigili e san Toni negli affreschi.
La vita era grama, dura e da quella asprezza nacque una venere che non aveva lunghi riccioli rossi ma polifonie e monodie per sole voci maschili.
Non ero seduto sul quindicesimo bancone a sinistra, ero un turacciolo di sughero nella corrente di torrente in primavera, in quella musica povera e pura, la musica delle radici.
Non erano canti alpini ma canti natalizi antichi e recenti musicati nella tradizione alpina.
Il mio bipede si prepara e va via, torna dalla mamma. Col suo coso suona a manetta Freddie Mercury e sento tutta la potenza dell'arte in quel passaggio "Love of my life". La voce! Sono via diverse che portano in alto.
Signore delle cime, di cosa sei capace?!
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3 ore fa