Ero piccolo, alle elementari insegnavano le basi - per questo importanti per definizione - del vivere. L'humus è scuro, risultato della trasformazione (in gergo meno elementare dalla biodegradazione) di resti di cibo, di erbe, di legno vecchio, di cacche (qui i bambini ridono sempre), di insetti e altri piccoli animali morti (qui, quasi sempre, una strana omissione , non si capisce perché una dorifera o un'arvicola sì e un capriolo no), di vecchie foglie... Esso dà fertilità, possono ricrescere nuovi alberi, nel bosco, nuove patate, cetrioli, orzo, piselli nei campi e poi caciocavallo e uova e ...
Domenica scorsa eravamo nel cuore dell'Appennino spopolato, deserto. Uno di quei borghi milleduecento il 10 agosto, dodici il 10 gennaio. Campi ormai boschi, case in quelle chiusure multimese (con barriere e strati ulteriori su uscì, finestre, etc. per protezione da inverni tanto temuti quanto contumaci). Silenzio, una cupezza collodiana, anche la giornata nuvolosa da effetto stau portava cupezza. Ancora, nella desolazione, qualche rara finestra con la luce dentro, qualche raro comignolo da cui usciva il fumo di legna e fuochi che rallegrano e scaldano anche noi due, forestieri osservatori.
In pochi decenni, diciamo sei o sette, un intero mondo collassato, svanito. Gli ex castagneti ormai boschi, dalla cultura di castagne e marroni, a quella silvestre, un taglio a ceduo ogni vent'anni, dai marroni alla legna da ardere o, peggio, cippato, tagli quasi sempre eseguiti da rumeni o albanesi o bulgari, gente ancora avezza alla fatica.
In quel borgo di montagna, sul crinale sommitale tra due erti versanti, con vicoli e stradine a isoipsa, solo, sulla principale, una lunga fila di piccoli fuoristrada. Cacciatori pensai subito.
Dopo il breve pellegrinaggio per le viuzze di quel relitto del mondo rurale, agricolo, arriviamo là, a quel ritrovo, ultimo della stagione, di quella com-pagnia di cinghialai.
Dopo molti lustri siamo, Rosa Canina ed io, tornati ad assistere al rito norcino, uno dei compimenti del ciclo dell'humus, terra siete e terra tornerete. Avevano interrotto di lavorare i due verri prima della pausa pranzo, il com-pane colle pappardelle al cinghiale, il rostinciano, il buon rosso, etc. . Anche alcuni giovani, qualche gemma e foglia verde chiaro in quella farnia grande e vecchia di capelli sapere pepe o anche solo sale.
Fino a stamattina ero in un'altra desolazione, alpina, un piccolo paese di frazioni spopolate, solo le campane di San Vizili o San Carlo a rompere il silenzio: non ci sono più grugniti o muggiti, non ci sono più stalle non più il coccodè delle galline o il suono dell'officina del fabbro. L'ultima piccola stalla della frazione ha chiuso qualche settimana fa.
In Francia, Germania le proteste di contadini, agricoltori, arrivano, a fatica, alla nostra cronaca. In Francia i suicidi di contadini non sono mai stati così alti.
In questo mondo al contrario, osservo, costernato, allibito, la frattura, il baratro sempre più ampio e profondo, tra la terra madre, il mondo rurale e le masse sterminate di umani urbanizzati, tra la terra rinselvatichenda e le conurbazioni megalopolitane, tra il senso della vita morte, il senso dell'humus memento mori, e la follia di lotte per diritti inestitenti per lo sbagliato, per il problema, il vizio, lo storto, l'innaturale, se non abominio e inversioni di etologia, etica, morale storia. Sradicati, problematici, liquefatti, psicotici, ammalati, fieri di esserlo e volenterosi orgoglionamente di esserlo di più. A La Zanzara un invertito trans qualcosa commentava con grande soddisfazione e sostegno, la notizia che un ospedale fiorentino applica farmaci castranti, bloccanti a bambini di età inferiore a dieci anni. Il male diventa anche infierire su corpo-mente-genitali-anima di bambini, in età in cui poco è definito e tutto è potenziale.
Il rompere il rapporto con terra, cibo, ossigeno, calore, sapori, vitalità, colle virtù, radici, corpo, col senso dei limiti, con l'acqua e il bosco e il legno, la legna, la fatica, la forza e costanza, è di un mondo malato, impazzito, che ha perso il senso di Diana, del sangue e della fame, del letame che diventa pagnotta di pane sano, croccante, profumato, dopo la necessaria lunga lievitazione, del cazzo eretto e della fica bagnata, del sudore e la fatica per il pane, de il bene e il male. È il rompere, anche, il rapporto con coloro che ti forniscono il cibo senza cui nulla avviene.
Peraltro in una follia antipolitica che decise e decide di annichilire il settore primario a favore del consumismo. Importare il cibo, con guerre, rotte marittime chiuse, instabilità geopolitica, esplosione demografica, sanzioni e blocchi è scemo - le intellighentzie! - e sempre più non lungimirante.
Forse ne sono pure segno quei piccoli cimiteri vetusti, qualche vecchio sbiadito fiore di plastica, lapidi storte, sbrecciate: il camposanto è stato da tempo sostituito dai condomini loculari multipiano o, nelle future versioni, dalla pastiglia nera, la terza e ultima, dopo quella rossa e blu, in cui saranno stato compressi i resti minerali del corpo minerali del corpo CF4d-1GBjX62W-kk91H.
Il senso smarrito dell'humus.
Anche senza scomodare filosofia e poesia, molto prosaicamente guardarsi intorno e capire che senza qualcosa di molto concreto che ti permetta di riempire il piatto (magari con roba commestibile) non si campa, dovrebbe essere alla portata anche dei più scemi tra gli scemi. Colpisce invece trovarsi costretti a constatare che quella banale consapevolezza è meno diffusa di quanto possa sembrare. Meglio: tutti sanno che se non si mangia non si vive, ma una schiacciante maggioranza di quei tutti pare convinta che la possibilità di ritrovarsi col piatto vuoto sia qualcosa che non li riguarda. Chissà dove prendono tanta certezza...
RispondiEliminaRitengo che sia filosofia tanto semplice quanto importante.
EliminaGrazie per il commento che ho citato nella pagina odierna.
Non ho nulla da aggiungere all'ottimo commento di MrKeySmasher, solo che la foto sopra mi ha destato dei bei ricordi
RispondiElimina'azzarola, che meraviglia di norcineria! :)
EliminaAnche questa competenza, sta svanendo come la neve di questi "inverni" africani.
Immagino che il signor Blogredire fosse o a riprendere alla camera oppure uno dei trasformatori del divin porcello.
Immagini bene.
EliminaL'epilogo sui cimiteri mi ha commosso.. sbrecciati non solo quelli minimi vetusti, ma anche i monumentali romani, in abbandono totale, forse anche dai medesimi residenti..
RispondiEliminaFranco, quello e' l'oblio della cultura e dei nostri antenati.
EliminaUna cosa che mi fa pensare, proprio uno dei segni della spaccatura e del distacco da quel mondo.
A me, invece, ha assai intristito la chiusura di quella piccola stalla di quella "piccola" contadina, colle sue ultime due mucche. Una tristezza infinita, un mondo che si e' chiuso, morto anche li'.
mi spiace per le castagne che per noi bimbi mortidifame eran sempre gioia ed alimento invernale, ma oggi i bimbi hanno altre cose finchè ci saranno risorse per tutti
RispondiEliminaI marroni arrosto erano e sono una ghiottoneria.
EliminaOvvio che se nessuno fara' piu' il castanicoltore, non ci saranno piu' neppure le caldarroste.
Evidentemente a molti piace un progresso cosi'.
Io non capisco, ma sono un disadattato sociale.
Volgarità gratuita
RispondiEliminaA cosa vi riferite?
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