Quando sono uscito per ultimo dal cinema mi rendevo conto del mio smarrimento. Nessuno degli schemi morali o etici poteva essere usato per trovare un bene e per trovare un male, almeno un po' distinti.
Percepivo il valore del lavoro di Paolo Virzì e il fatto che ti esponga alla complessità della vita, ti spiattella in faccia un'osservazione precisa, cinica, dissacrante del mondo marcio ma anche della morale che vorrebbe opporsi alla corruzione diventandone dispositivo, catalizzatore.
Lungo strada, sentivo il rumore dell'asfalto ruvido che quasi grattugiava un po' i copertoni e qualche risposta alle domande usciva. C'era un'ecologia? Datemi un'ecologia e con quella vi solleverò il mondo.
Vediamo.
Il ritratto preciso, iperrealista del marcio della borghesia è una parte importante dell'opera. Innegabile. Sebbene sia ambientato in Brianza, ciò è relativamente poco importante. E' una critica senza luogo ovvero integrale, globale è il capitalismo parassitario e speculativo metageografico. I riferimenti ai mercati finanziari londinesi, al sistema elvetico, agli incontri internazionali servono solo a ricordarcelo. Brianza o villa brasiliana o famiglia russa o indiana, magione siciliana o provincia statunitense non importa, non cambierebbe quasi nulla, solo degli scemi potrebbero porsi quesiti o innescare polemiche sulla location del castello che ospita la festa a cui si reca Cenerentola. I riferimenti alla importanza della cattolicità (scuola, Gregorio XIV, etc.) aggiungono altre tessere al mosaico, ricordano ancora una volta quella connivenza.
Trovo superlativo Virzì nel suo smantellare ogni possibilità di lettura moralistica. Il colpevole alla fine è il "poraccio", l'artista post adolescente border-line, toglie ogni possibile confine tra bianco e nero. Certo, un gigante rispetto alla meschinità non solo morale ma pure umana degli altri personaggi. Anche gli intellettuali convocati da Carla Bernaschi
(Valeria Bruni Tedeschi) appaiono nel loro nichilismo non migliori delle grottesche posizioni dell'assessore leghista.
Uno di loro che ha una parte di ricostruzione dello sfascio morale e culturale si rivela, nel momento della difficoltà rivelatrice altrettanto borghese e nello stesso meccanismo spietato di prevaricazione. Il (mancato) direttore artistico perde ogni umanità e vomita la propria delusione e il rancore che ne deriva accusando di questo, di meschina mediocrità Carla Bernaschi. Questo passaggio riflessivo di Virzì è uno dei migliori. E' spietato non solo nella rappresentazione della caratterizzazione parassitaria e prevaricante della borghesia finanziaria, economica ma anche delle stesse forme, le stesse dinamiche di potere, di quella intellettuale. Ecco, proprio intellettualismo borghese, parrebbe una contraddizione in termini ma Virzì arriva anche ad esso.
Allora io mi chiedevo quale fosse la morale, il senso di speranza.
Il primo senso di speranza è la genuinità del sentire che riesce a fare breccia. Giovanni Anzaldo (Luca Ambrosini) e Serena Ossola
(Matilde Gioli) non sono ancora corrotti e riescono ad afferrare l'aria pura, la vena di acqua ancora limpida e a portarli nella loro vita riscattandola, tornando a vivere.
Il secondo senso di speranza è il potere terapeutico, anche salvifico, dell'arte e dell'espressione artistica e della cultura liberi, genuini, dal borghesismo intellettuale, dall'opulenza greve, materialistica, in ogni caso liberi dal potere (la liberazione, emancipazione è per Carla Bernaschi una chimera, a differenza di Serena).
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3 ore fa
sai che ne ho parlato, e sai che penso che anche quelli che paiono "buoni", in realtà buoni non sono. film bello, vero.
RispondiEliminaVirzi' è stato grandioso, secondo me, proprio nello sparigliare le carte.
RispondiEliminaDue esempi che mi vengono prima di altri.
Lo specuatore folle che alla fine ha un che di morale quando si incazza con il figlio presunto colpevole, il direttore artistico che si rende meschino, ogni possibile emancipazione di arte e cultura viene annullata dall'ego e dalla prevaricazione di potere che è / sarebbe connotazione proprio dellaborghesia e non degli intellettuali.
Un'opera di grande pregio!
Una menzione va anche a Fabrizio Bentivoglio (nella storia èDino Ossola) che è superlativo nel rappresentare la (im)morale del disonore, la Meschiità.
Il film non l'ho visto (a parte i trailers), ma in qualche modo mi immaginavi perfettamente la trama, e il tuo posti mi conferma questa cosa.
RispondiEliminaSolo in una cosa dissento da te, l'aver scelto la brianza come sottofondo alla storia. non è relativamente poco importante, ha il suo perchè...
vero
Eliminax diversamenteintelligente:
EliminaBenvenuta. Ritengo che sia una certa figata che tu appaia qui. :)
Brianza...
Conosco l'umanità di varie province italiane, ma non solo, pure britanniche o tedesche. Credimi, quell'umanità non è l'umanità della cassöla, ma è l'umanità del mondo. Il mercato di riferimento per Virzì è quello italiano e ciò veicola un vissuto e rende più sentita la storia. Ma quello è proprio l'umanità del mondo. Non ho ancora visto la Grande Bellezza, ma per quanto mi raccontano è sempre quello il punto di vista, l'osservazione della meschinità, del disonore per dirla debenoistianamente.
Nota come Virzì sia stato corretto nella sua impietà. Il (mancato) direttore di teatro, l'intellettuale che si rivela così borghese e, infine, altrettanto meschino, è meridionale.
Tu e Francesco ritenete invece importante l'ambientazione brianzola. Un'ambientazione nella borghesia palermitana, altoatesina o fiorentina sarebbe stata diversa? Perché?
come diversamenteintelligente.. pure io non ho visto il film:e manco ho visto i trailers.
EliminaE mo che dico UUIC?
:(
Oh, non è necessario dover dire qualcosa, En Joy.
EliminaOltretutto tu stai vivendo sulla cresta dell'onda, ora. Non so se la deità data dal movimento nascente permetta di tornare nel mondo ad osservarne il ripetersi meschino.
hai presente la canzone del Cremonini?
Eliminacosì mi sento .. ..una dea..
Bell bello il cortometraggio diretto da Fabrizio Cestari per Il_Cremonini.
Elimina:)
Oddio che la mia apparizione nei commenti fosse una figata non me lo aveva mai detto nessuno, ma mi piace!!
Elimina(si ma perchè una figata poi?)
per risponderti invece... come faccio a spiegarti l'ipocrisia brianzola? (o meglio una parte della borghesia arricchita brainzola, non son tutti così, ma quelli si!)
Non è facile e non riesco a trovar parole. Prometto che ci penso e riesco a trovare una metafora te lo dico.
Al momento mi vengono solo aggettivi separati tra loro "ipocriti, grevi, falsi, egoisti, ignoranti, stupidi"
Ma secondo me, se per un certo (lungo e largo) lasso di tempo non la vivi è difficile spiegarla.
Io non nego certamente che la borghesia della Brianza sia così.
EliminaDico che è così la borghesia quadratica media, è così la meschinità, e ciò avviene ANCHE in Brianza.
Mi fa piacere averti qui perché, ti ho scoperta da qualche giorno e ho scoperto qualcosa che intuisco mi piace, che ritengo degno! :)
Credo perché quella brianzola abbia quel greve in più, quel tocco di tamarro in più, che la caratterizza.
EliminaQuesto certo non vuol dire che sia l'unica, ma solo che come nel teatro, le maschere con cui reciti devono essere caricate.
(oh grazie... il mio ego e ancor di più il mio super io gongola)
Egon Schiele fu terribile nel tratteggiare la degenerazione del vivere borghese. Ed era a Vienna. E questo è solo uno dei molti. E molti altro lo fecero a livelli e con mezzi diversi.
EliminaIl mio pensiero va a Pasolini, a Wilde, a Catherine Millet, ma anche ad alcuni satiri come Villaggio in Italia, Poltz in Baviera, etc.
Mille mila.
La borghesia brianzola è più tamarra di quella bavarese? Sicura? Sicuramente è più brianzolamente volgare, ma lo è molto meno bavaresemente di quella di spießig della Millionaerdorf (Duesseldorf) o di Starnberg.
Le maschere devono essere cariche e ... locali. Balanzone ha più successo tra le due torri che sul Canal Grande.
Schiele lo è anche se il suo tratto è eccessivo le mie pupille, pur riconoscendo la sua bravura, preferisco sicuramente il suo mentore Klint.
EliminaMa a parte ciò, il film voleva ritrarre uno scorcio d'italia per quello non poteva prendere la borghesia bavarese (che non conosco). Doveva prendere qualcosa che ci appartiene come tipologia di pensiero e di vivere.
Le maschere locali diventano "nazionali" in teatro (o al cinema) guarda, Pantalone, Pulcinella e Arlecchino.
...Forse la grettezza sarebbe meglio misurarla in tempi di abbondanza che di ristrettezze, ma si sa, che quando ognuno ha la pancia piena è stupido andare a sindacare in casa degli altri...
RispondiEliminaFrancesco, è la necessità che aguzza un po' tutto, ingegno ma anche osservazione.
RispondiEliminaPrima della projezione è passato il promo dei American Hustle, Beh, ho notato alcune similitudini anche se non ho ancora visto questa pellicola.
L'opulenza (anche quella spensierata degli anni settanta) tende facilmente a involgarire, ad abbruttire, a partire dalle masse. Diciamo ad appiattire.
Guarda che quella casa è casa di tutti, non pensare che sia questione di luogo specifico.
Un'altra cosa bella, che aggiungo solo, è la struttura a matrice della storia,
RispondiEliminaUn incrocio che su una dimensione ha i protagonisti, sull'altra la dimensione del tempo e dei ritorni improvvisi, delle regressioni (flashback).
Va beh, l'ho visto, mi è anche piaciuto, ma non mi pare tanto originale,i caratteri sono troppo stereotipati a mio giudizio.
RispondiEliminaDici?
RispondiEliminaHo notato forse un po' di carico solo da parte di Fabrizio Bentivoglio nel ruolo di Dino Ossola quando cerca di rompere il ghiaccio con Bernasconi.
Ma del resto Virzì ha rappresentato anche un po' che per alcuni nordici chiusi e meno espansivi a volte richiede qualche sforzo per entrare in comunicazione con coloro che sono in parte sconosciuti.
Anche la critica di teatro, la rossa, forse un po' carica. Ma avendo bazzicato un po' sia gli ambienti borghesi anche ricchi e e quelli intellettuali, ti posso assicurare che non pochi tipi sono assai peggio e più carichi di quanto appare in Il capitale umano.
Tutti "troppo".
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