lunedì 4 febbraio 2013

L'albero degli zoccoli

  • È come fare un ritratto della Madre. La madre la riconosciamo davvero quando ormai è perduta. Quando la madre è una realtà che ci spetta e quindi non ne siamo del tutto consapevoli, quando ci viene a mancare allora cerchiamo nella memoria di ricomporre il suo volto, sentire le voci, avere addirittura una sensazione palpabile del ricordo e questo somiglia molto al cinema.
    Ermanno Olmi, intervistato sulla pellicola

Sabato sera stava fioccando fittamente e dopo cena, di tanto in tanto distratti dal fuoco che doveva essere alimentato ci siamo ritrovati a fine Ottocento nella campagna al confine tra la bergamasca ed il bresciano e poi lungo i navigli fino nella Milano agitata da disordini sociali. Puoi andare col pensiero al monologo di Paolini sul disastro programmato del Vajont o ancora alle novelle silvestri di Corona o di Rigoni Stern. Anche la pellicola di Olmi, Palma d'Oro a Cannes nel 1978, è un ritratto della Madre, di una madre morbida di latte e polenta, delle sue braccia ampie e consolatrici, rispetto alle asprezze del vivere che si rivelano poca cosa rispetto alla spietatezza disumana del capitalismo e dello sfruttamento di pochi su molti. Il capolavoro di Olmi anche nel finale rifugge da sdolcinatezze e idillizzazioni e anche per questo è ancora più grande nella maestria. Ed è opera di "coltura e cultura" così grande proprio perché vissuta dal regista. Così come Paolini eccelse nel lavoro sul Vajont ad esempio. Sono cantastorie della Terra e della Madre,della loro Terra e della loro Madre e le cantano ed evocano meglio di ogni altra cosa.
La ricostruzione di luoghi, dei costumi, degli usi e la coerenza linguistica - la visione in bergamasco rende aspetti sottili e culturali che portano l'opera alla perfezione - gli attori che in quell'epoca avevano memoria d'anima ancora il vissuto della quotidianità agricola e rurale- dopo lo sradicamento di massa dalla Terra semplicemente oggi quel cast non sarebbe più possibile - rendono maestro il lavoro del regista. e anche le figure di genere, o di generazioni sono rese così solidali ma non per bontà o per migliore morale rispetto alla frammentazione individualista odierna, ma semplicemente per necessità etiche sinergiche per la sopravvivenza. Sono belle pure le figure maschili di babbi e nonni e il loro rapporto con i piccoli. Il ritratto di un amore che sboccia facendosi largo e germinando tra le zolle della morale così aspra è una formella di eccellente impressionismo nel polittico olmiano.

Papà che bello questo film, ma il finale ...
Ehi, ciccio, è la vita che è dolce ma anche aspra e ingiusta.

Se ci può essere memoria emotiva viva, che ci tiene vigili contro la disumanità del sistema, contro lo sfruttamento di homo su homo, che ci riporti alle morbide e tiepide poppe sode e umide di latte della Madre fruttifera, essa verrà tenuta in vita dal ritratto di Ermanno Olmi.
Emoziona e commuove fino al midollo.


12 commenti:

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  2. Troppa buona, Fabrax.
    Anche casa tua mi sembra un posto interessante. E anche eccitante! (ma sono alcuni giorni che ho una certa febbre addosso).
    Grazie.

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  3. non riusirei oggi a vedere un film del genere. è come quando ho visto nel weekend Il Cacciatore, troppo lento per la prospettiva dei nostri tempi

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  4. Ci siamo presi molto tempo per vederlo.
    Ma un conto è la durata della pellicola un conto sono i ritmi in essa rappresentati.
    Sembra quasi che la non-fretta, ciò che non è veloce ti disturbi o, per lo meno, non ti piaccia.
    Beh, capisci che una narrazione di quella realtà non può che assumerne i tempi.
    Mi fa sorridere, tu essere pienamente urbano, io essere in parte ex urbano che apologizzo la vita rurale. Apparentemente è come se fossimo spesso di schiena e guardassimo in direzioni opposte.

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  5. L'ho visto un bel po' di anni fa. Alcune scene sono girate dietro casa dei miei. Conoscevo anche qualcuno che ci ha recitato. Tipo l'uomo che va a chiedere la polenta. Lo vedevo tutti i giorni, rosso in viso, che rompeva cartoni nel cortile della gastronomia di fianco.......

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  6. Alcuni anni fa avevo amici dall'altra sponda della riva, a Palazzolo (in dialetto Palahöl).
    Sì, quello rappresentava il matto del villaggio e la sua figura mendicante testimoniava che vigeva una forte solidarietà anche tra poracci, anzi, quei mezzadri erano quasi più miseri che poveri.
    Olmi trovò un personaggio giusto anche per quello, allora. Eh, grande!
    Grazie per il tuo contributo.

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  7. Eh, quanti giorni&notti a piangere commossa sui libri di Corona... lassamo sta :)
    Solo l'ultimo non l'ho apprezzato come si deve, non ci sono riuscita, era troppo sfuggente e ventoso e non lo so. Mi è successo qualcosa per cui non son riuscita a leggerlo. Unico suo libro che non ho letto.

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  8. Di Corona leggo e rileggo, di tanto in tanto, Storie del Bosco Antico che mi piace molto prima di addormentarmi mentre lo legg(ev)o a UnRagazzo per buonanottarlo. :)

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    1. Hai letto La fine del mondo storto?
      No perchè sembri il ghost writer di Corona in quel libro eh :D

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  9. La fine del monto storto l'ho letto per le prime 50/60 pagine.
    Lo avevo regalato al figlio di A-Woman e così in libreria.
    Poi lo lasciai lì che non ho bisogno di alimentare la mia consapevolezza sulla grave insostenibilità degli homo.
    Ma in quel libro Mauro poneva l'attenzione anche sull'artificializzazione che ha reso del tutto inetti la maggior parte di noi che se i supermercati stessero vuoti per dieci giorni non saprebbero più neppure piantare un pomodoro e coltivarlo o farsi un maglione di lana, gente che senza il navigatore ormai non sa più neppure arrivare dalla zia.
    Mauro Corona scrive e dice le sue cose sagge ad un deserto di sradicati che ignorano lui e che seppelliscono le proprie inettitudini.

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