- Dio del cielo,
Signore delle Cime,
un nostro amico
hai chiesto alla montagna.
Ma ti preghiamo:
su nel Paradiso
lascialo andare
per le tue montagne.
L'hanno messo lassù, a lui piacevano i posti alti.
Così aveva esclamato ieri, mio cugino, quando la bara di mio zio alpinista. è stata inserita in quel loculo, al livello più alto di quel condominio cimiteriale nelle prealpi lombarde. Molti pensieri ieri, come in ogni occasione in cui sei spiattellato di fronte a sorella Morte. Sebbene quel cimitero fosse in una zona meno urbana, un poco amena, con le pendici boscose intorno, io ho trovato la tumulazione così artificiale, così asettica, fredda.
Nel paesino remoto del Trentino, ancora qualcuno finisce nella terra. Io lo trovo molto più toccante, trovo un senso in quel tornare alla terra. Non c'era scritto "cemento siete e nel cemento tornerete". No!
Il problema del numero, la dimensione alienante della massa in crescita esponenziale, lo è anche nel momento della morte, un momento in cui dovremmo tornare fragili, introspettivi, a meditare sulla dimensione spirituale della vita. Anche tutto questo viene annullato dall'approccio industriale, artificiale dell'iperformicaio globale attuale.
Così lo zio molto caro, amante sincero delle vette, del suo amico Adamello, se n'è tornato lassù.
Pensavo, in queste ore, alla vita, alla morte, al tempo che passa, a questa arte del tango che è un tentativo estetico di fuggire nell'eternità, ai miei veci, ai cugini, agli zii, alcuni cari, che ieri ho rivisto dopo molti anni se non lustri.
Non torna spiga fruttuosa il chicco che non muore nella terra.
Pure i pensieri che mitigano la Grande Paura sono stati violentati, annullati da questa perdita di senso che cresce apparentemente senza limiti.
E io che vorrei diventare una betulla, una quercia... Mi infastidisce, mi irrita la dimensione betonica o di polvere postpirica. Voglio diventare betulla o quercia, diventare pascolo.
(francescosaverio50)
Da ragazzo, quando ancora non avevo capito certe cose, sognavo che la tumulazione potesse avvenire in terra, addirittura senza cassa, e che in corrispondenza d'ogni cadavere venisse piantato un albero a scelta del defunto. Nelle mie fantasie, l'albero crescendo avrebbe abbracciato con le sue radici i resti del morto, se ne sarebbe nutrito inglobandolo in sè, tenendolo in un certo senso in vita. Sempre in quelle fantasie sarebbe stato un tabù daneggiare un "albero funebre" fino al momento della sua morte naturale, momento in cui (si suppone) nessuno dei cari del defunto sarebbe più stato in vita. Immaginavo. Immaginavo quei cari raccogliersi in quello che sarebbe diventato rapidamente un bosco e lì passare giornate conviviali quasi a tener compagnia a chi giaceva sotto, ricordandolo in modo lieve, non penoso, godendo della compagnia di quegli alberi che, a modo loro, si sarebbero fatti famiglia.
RispondiEliminaSogni di ragazzo. Inutili sogni di ragazzo. La realtà sono le cerimonie funebri a partire da euro quattromila, con tanto di tasse e balzelli, giri d'affari e convenzioni mercantili. La realtà è che da morti come da vivi siamo capi di una mandria destinata alla produzione e nulla più. Bello, eh? Fate tanti vitelli, assicurate al mandriano il suo profitto.
Ritengo che in passato non ci fossero altruismi e generosita' particolari: lo sfruttamento a mo' di mandrie c'era anche una volta.
EliminaE' la scala e l'artificializzazione di cui e' effetto, causa e conseguenze che hanno stravolto tutto.
Una societa' sempre piu' necrofila: anche in questo ha via e via piu' le caratteristiche di un tumore.
Aprire il ciclo, romperlo, anche il corpo che torna terra, humus e da cui dovrebbe ripartire, germogliare la vita.
Ieri ho vissuto la medesima esperienza, per una mia parente.
RispondiEliminaE la vista delle prime colline dell'Appennino, dal sito della camera ardente, ha rasserenato ... ne hanno viste di cose, ed ascoltate tante storie, quelle terre ...