Allora che, tacito, seduto in verde zolla,
delle sere io solea passar gran parte
mirando il cielo, ed ascoltando il canto
della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
e in su l’aiuole, susurrando al vento
i viali odorati, ed i cipressi
lá nella selva; e sotto al patrio tetto
sonavan voci alterne, e le tranquille
opre de’ servi. E che pensieri immensi,
che dolci sogni mi spirò la vista
di quel lontano mar, quei monti azzurri,
che di qua scopro, e che varcare un giorno
io mi pensava, arcani mondi, arcana
felicitá fingendo al viver mio!
ignaro del mio fato, e quante volte
questa mia vita dolorosa e nuda
volentier con la morte avrei cangiato.
Giacomo Leopardi
Questa poesia che evoca il sentimento del rimpianto, motore di noi edonisti, ho recitato ieri sera mentre davo acqua all'orto. A mia moglie l'ho recitata, e l'abbiamo commentata insieme.
RispondiEliminaGiacomo Leopardi, così fine nella sua malinconia esistenziale, sublime nell'evocarla!
EliminaRileggo e rileggo questi versi, con pieni sensi sono in quei colli, a fine giugno, il caldo mite della sera, il silenzio rotto dai suoni della natura.
Sì, Leopardi vive con cognizione i limiti dovuti alla sua salute gracile, è sui Sibillini arcani, solo con lo spirito, nel desiderio insoddisfatto e insoddisfacibile di poterli visitare.
Leopardi riusciva, così, ad apprezzare con tutti i sensi ciò che poteva vivere, a Recanati, ciò che la natura gli porgeva. In un certo senso edonista, esteta, malinconico di non poterlo essere maggiormente.
Noto una certo paradosso, la limitazione nel fisico lo rende "sensista", epicureo, l'assenza che diventa catalizzatrice.