mercoledì 26 marzo 2014

Emilianità - 3

(Emilianità - 2)

Sorridevano. Aveva fatto loro sinceramente piacere, si capiva. Io li ascoltavo parlare, da dietro, altra fila di poltrone. Io non ho il vissuto (spesso volgare) che ho per altri dialetti, lombardi, triveneti, baiuvari, non li ho per il dialetto emiliano, in questo caso bolognese. Quei suoni solari, aperti, mi portavano via e mi lasciavo andare. Capivo forse la metà, forse anche perché capivo solo la metà. Mi portavano a spasso, per colline di orzi e frumenti dorati, di ginestre, di sapori intensi, di sole e vento, di cotechini e lambruschi di Grasparossa e botticelle di balsamico antico, di onde di verdi sui pascoli che diventano la forma (*), di piccoli borghi di pietre e rosai e pietre comacine, di papaveri rossi, aperto di spazi e vento e di musica vocale.
Ecco, il dialetto emiliano, per me, è proprio così. E' come la primavera, il maggese.
Cultura, radici, piacere.
E prima di scendere li ho interrotti e di dire loro che è bello e raro è sentire una conversazione in dialetto emiliano.
Dicevano che sta sparendo e sorridevano, un po' disillusi, un po' contenti.

(*)
La forma: in bolognese, il parmigiano-reggiano.


5 commenti:

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  2. Li avrei potuti ascoltare per mezz'ore.
    La donna era sui sessantasette, aveva le mani robuste e di molti lavori e molta arte. Sapeva sicuramente tirare la sfoglia.
    Sono certo. :)

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  3. Noo, è una fotografia. Di Andrea Maestri.
    ;)
    Ahahah

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    1. intendevo le tue parole, dipingono un momento, un spaccato di un posto e della gente ::) :P

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Rumore, robaccia fuori posto, pettegolame, petulanze, fesserie continuate e ciarpame vario trollico saranno cancellati a seconda di come gira all'orsone.