domenica 4 aprile 2021

A nuova vita

Ci separano tredici mesi e mezzo da quel venti febbraio 2020. Pensavo al silenzio, alle strade vuote, in questi fine settimana nei quali il blocco dovuto alla pandemia viene in buona parte rispettato. Riflettevo, con Rosa Canina, venerdì, a pranzo, in loggetta, di come sia cambiata la mobilità due anni fa, cento anni fa, aprile 1921, ora, aprile 2021.
Questo riduzione brutale della mobilità liquida e impazzita, quella per cui c'erano nefandi aerei a basso costo che ti portavano a pranzo a mangiare il pesce a Catania e la sera eri a casa,  c'erano i pendolari aerei, il sabato sera a Berlino poi torno. Il mio orizzonte logistico, in questo periodo, è passato ad un pendolare una trentina di chilometri per il lavoro - ormai evento di frizzante libertà - durante la settimana, ad una mezza dozzina per le vettovaglie, il sabato, per andare al mercato contadino.

Era deserta la strada, oggi, solo questo maledetto sole e vento secco e freddo, più due mesi che non viene goccia, qui, già scoppiati i primi incendi boschivi: deserto, azzurro, sole, silenzio. Anche le vie della città erano silenziose, sole e polvere e merda e piscio canini stratificati. Anche il cielo è silenzioso, senza quel cazzo di traffico areo impazzito che ti cala rumore pure dall'alto.

Sono tornato ad una mobilità un ventesimo, un trentesimo di quella precedente, a contar i pieni, morto il tango e l'andar per monti o in qualche borgo perso tra boschi, colli e spazi. C'è nostalgia per tutto questo, certo. Molto mitigata da questo amore grande e bello che mi ha baciato in questi mesi, al fatto di aver avuto la gioia di una piccola famiglia che si è ricreata, stare così bene con Rosa Canina, in questi giorni semplici di ritmi quasi monacali, lavoro, casa, dormire, le faccende domestiche, il dolore per l'abbattimento dei miei amati alberi - mi sono persino ammalato, per un paio di giorni. Il focolare che ha preso sopravvento su ogni divertimento, ogni esotismo. Nell'aprile 1921 la mobilità era ancora più drasticamente ridotta, anche la mezza dozzina di chilometri per andar al mercato del paese di là un'occasione speciale, rara, che andar a piedi per tre ore al giorno ti lascia tutto da fare, ti consumavan le scarpe che poi non ne hai più. Abbiamo ancora possibilità impensabili anche solo fino a settanta anni fa.

Gli effetti di questo virus sono stati pesanti per gli affetti persi, per i veci lontani che invecchiano senza abbracci, per la sciagura economica per molti, ma io voglio rimanere e tornare alla nostra umanità. Durezza per molti perché questa parziale stasi ci ha costretti all'introspezione, a ritrovare noi stessi, allo stare dentro di sé e non fuori di sé e, spesso, tuto questo è vissuto male, se non malissimo, terrificati da antiche ferite che tornano, dall'apparire dei limiti.

In questa festa equinoziale, della primavera, della Pasqua, rinascimento cristiana, ancora siamo affacciati al mistero della vita e morte. Il non poter divertire, divergere, dis-trarsi diventa esercizio spirituale forse mal voluto, mal sopportato. Eppure, in questi relativamente aspri frangenti, abbiamo la possibilità di tornare a osservare, con attenzione, il fluire della vita, della morte e poter iniziare a gioire di piccole cose. così sottili e inebrianti nella loro pienezza di umanità, di sensi, di piccole e così grandi attenzioni.
Possiamo tornare anche a volerci bene.

Possiamo tornare ad osservare la continuazione dei cicli, la sorella Morte tornare con la sua falce, a far spazio a nuova vita.


(saintpierredesolesmes)

4 commenti:

  1. bèh, in effetti la natura non risente molto dello scorrere del tempo e se tra le razze umane solo i cinesi resisteranno, ad essa, poco tange

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    1. Non so, messer Fracatz.
      La natura e' il pianeta vivente del quale gli esseri umani sono consapevoli e che sopravvivera' ad essi.
      Alla natura, degli umani, 'mporta 'na sega.
      Sono gli esseri umani che abbisognano della natura, non il viceversa.

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  2. Quant'è bello il giro iniziale di campane a festa!

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